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Editore SSC Napoli, Via De Gasperi n. 33, Napoli
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La settimana azzurra
di Bruno Marra
"Era de Maggio". Esattamente il 10 Maggio 1987. Il Napoli vinceva il suo primo scudetto. Ventuno anni ed un giorno dopo torna il Maggio dei Monumenti a Fuorigrotta. Il Paradiso ha smesso di attendere. Le tre dita alzate al cielo, intinte nell'acqua santa per benedire l'ultima liturgia azzurra. Il Napoli si riprende l'anima del Diavolo nella Cattedrale del San Paolo. Gli azzurri riscrivono il sanscrito della gloria immortale e bevono il calice del Sacro Graal. Il Gotha del calcio si è fermato qui. Juventus, Inter, Milan, Fiorentina. Tutte giù per terra nello splendido girotondo napoletano. Non accadeva dai tempi d'oro. Da quando "Era de Maggio". Il Paradiso ha smesso di attendere. Al San Paolo è tornato il Maggio dei Monumenti.
E così il Fanciullino con lo spirito guerrier che entro gli rugge si è guardato attorno ed ha deciso di partire da solo. Il Manga boy, con l'energia che gli esplode dalla testa, i capelli in forza centrifuga ed i bioritmi in cadenza ascetica, ha affrontato il coraggio di scavalcare da solo le colonne d'Ercole dell'Impero milanista. Dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta metri con una scia dorata ed un palla che sembra un dardo di fuoco. Una finta, un dribbling, una lama nel cuore del San Paolo. E poi la luce del trionfo. Guarda Marek quant'è bello. Il ritratto della "meglio gioventù", il ragazzo del muretto azzurro, quello con l'X Factor della new Generation.
Toccava a Domi in quella bolgia tremenda. Il Pocho se li era masticati per bene prima che Nesta gli interrompesse la foga. Un rigore al cubo. La terra trema a Fuorigrotta quando Maurizio abbassa la testa e indossa il guanto di paraffina con gli occhi di ghiaccio del killer seriale. Deve sparare da lì. Sul suo piattello preferito. Nella stessa fossa dove ad Ottobre rotolò due volte, come un barattolo del Luna Park, Gigi Buffon, il più grande artificiere moderno. Stavolta di fronte c'è la muraglia australiana, Kalac il gigante di Sidney. Un colpo solo. Al centro della porta. E nell'urlo del San Paolo!
Il capitano è lui. E se la vuola godere l'ultima festa. Ciccio Montervino, il 'Goodfellas' napoletano, fa il bravo ragazzo fino alla fine. Entra, digrigna e quando l'orizzonte sta volgendo al tramonto dipinge l'arco di trionfo. Cross di sinistro che vincerebbe l'Oscar degli effetti speciali ad Hollywood. Gyorgy "Giuri" Garics arriva come un cavallo in terza ruota. La fantasia si imbizzarrisce. Colpo sotto. Filotto. La Vecchia Guardia va in Paradiso. Il San Paolo ha smesso di attendere.
Ha il profilo imponente di una scultura neoclassica, l'incedere rassicurante di una Guardia Svizzera, l'orgoglio fideistico di un rivoluzionario. Roberto Carlos Sosa è il Cavaliere della Pampa sconfinata con un cuore enorme come la pianura argentina. Il bomber che ha sfidato le stagioni per amore della maglia azzurra, per difendere la sua gente, riportare gloria e onore nella sua nuova terra. Finché un giorno, più bello degli altri, si arrampicò sulla traversa, tre metri sopra il cielo azzurro, come un canto di liberazione, un gospel dell'anima. La chiameranno la leggenda dell’hombre argentino, diventato eroe napoletano sfidando con fierezza la kryptonite dell'età. Ieri si è perso in un boato assordante con lo slide dei pensieri struggenti e gli occhi baciati dalla lacrime più belle del mondo. Un grazie grande così, come l'immensa Pampa argentina. Nel Maggio dei Monumenti il trionfo gliel'hanno cucito addosso. Perché lassù qualcuno lo ama. E chi ama non dimentica. Roberto Carlos Sosa.
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